La nascita e lo sviluppo del «Te» di Okinawa
di Marco Forti
Nella creazione e nello sviluppo dell’arte di combattimento senza armi di Okinawa giocò un ruolo determinante il divieto di portare armi, imposto per ben due volte – dal Re Sho Shin nel 1507 e dal clan Satsuma nel 1611 – agli isolani.
L’esigenza, diffusa in tutte le culture, di sviluppare metodi di difesa dalle aggressioni comuni venne quindi influenzata, ad Okinawa più che da ogni altra parte, dalla particolare situazione che impediva agli isolani, ovviamente ad eccezione delle guardie del castello di Shuri e delle forze dell’ordine, il possesso di qualsiasi tipo di arma.
È opportuno precisare subito che il luogo comune, piuttosto diffuso, che ricollega la nascita e lo sviluppo dell’arte di combattimento di Okinawa alla classe contadina (heimin) è solo una romantica leggenda metropolitana, senza alcun riscontro storico.
Non che i contadini non avessero le capacità per opporsi ai soprusi con la forza (la storia insegna che molte rivoluzioni nacquero proprio dalle classi meno agiate) ma ciò non si è verificato ad Okinawa in quanto gli heimin erano impegnati tutto il giorno in durissime attività lavorative necessarie al sostentamento dell’intera comunità, e per questo non avrebbero avuto, nemmeno volendo, il tempo di dedicarsi alla pratica del combattimento.
Fino all’abolizione della nobiltà e della suddivisione in classi, avvenuta nel 1879, con la conseguente diffusione dei matrimoni misti, la pratica del Te era appannaggio dei soli shizoku (classi privilegiate quali artigiani, impiegati civili, guardie e dignitari di corte).
Fino alla fine del 19° secolo l’insegnamento era impartito su base individuale e perlopiù in regime di segretezza, al fine di evitare ritorsioni dal clan Satsuma.
Gli adepti erano attentamente selezionati in ambito familiare o tra persone raccomandate e dalla condotta morale irreprensibile. Per questo ogni insegnante aveva pochissimi allievi.
Proprio la trasmissione orale ed il fatto che la pratica seguisse un ferreo rituale di segretezza ha fatto sì che molta della storia originale e delle pratiche uniche di questa disciplina in questo periodo siano state perse nelle sabbie del tempo.
Analizzeremo alcune delle prime personalità cui si fa risalire la diffusione del Tode, di cui si hanno testimonianze.
KANGA «TODE» SAKUGAWA
Le date di nascita e di morte di Kanga Sakugawa, conosciuto anche come «Tode» Sakugawa, sono molto controverse. Secondo alcuni storici nacque nel 1762 e morì nel 1843 (sebbene altri studiosi facciano risalire la sua nascita al 1733 e la sua morte al 1815 e altri ancora indichino nel 1782 e nel 1837 le date di nascita e morte).
Iniziò la pratica delle arti marziali all’età di 17 anni, dopo averlo promesso al padre in punto di morte.
Il suo primo maestro fu il monaco Takahara Peichin (peichin è un titolo ed indica chi appartiene alla classe dei guerrieri feudali di Okinawa, assimilabile a quella dei samurai giapponesi). Si ritiene che Takahara fosse stato allievo di Chatan Yara.
Il maestro mise subito in chiaro che lo studio delle arti marziali è un impegno che prende l’intero arco della vita, qualche mese o qualche anno non sono sufficienti. Sotto la guida del monaco, Sakugawa progrediva con profitto nello studio del Te di Okinawa. Un giorno, mentre passeggiava, vide un cinese elegantemente vestito che contemplava il riflesso della luna nel fiume, ed improvvisamente ebbe l’impulso di farlo ruzzolare con uno spintone ma, mentre si accingeva a mettere in atto il suo proposito, venne improvvisamente afferrato da una mano d’acciaio che lo redarguiva chiedendo spiegazione del suo proposito. Sakugawa era stupefatto e confuso, e non sapeva neppure spiegare cosa gli avesse preso. Fortunatamente il gentiluomo altri non era che Kwang Shang Fu (Kushanku o Koshokun in dialetto hogan) un addetto militare cinese esperto in arti marziali che soggiornava ad Okinawa. Quando questi apprese che Sakugawa era un famoso studente di Karate, lo invitò presso di se per studiare ed approfondire l’arte. Fuori di se dalla contentezza Sakugawa corse dal proprio Maestro per narrargli della fortuna capitatagli, Takahara fu ben felice di incoraggiare il proprio allievo a proseguire lo studio del Karate con quello che era considerato il più grande esperto presente ad Okinawa.
Quando Kushanku ritornò in Cina, Takahara era già deceduto da tempo, e Sakugawa fece ritorno a Shuri dove istituì la propria scuola. A questo punto la vita si confonde col racconto simbolico, si dice infatti, che Sakugawa avesse tre studenti molto bravi: il primo di nome Okuda di statura imponente era estremamente forte, e si racconta che un suo pugno poteva abbattere un toro; il Secondo: Makabe era di corporatura minuta, molto veloce e scattante, era abilissimo negli spostamenti e nell’esecuzione di movimenti spettacolari; il terzo, Matsumoto era un serio praticante generico, nel senso che non aveva abilità specifiche e spettacolari, ma aveva un’ottima conoscenza di tutta la materia e per questo non era così famoso tra la gente come lo erano gli altri due, tutt’al più era considerato un buon insegnante di Karate.
I tre allievi di Sakugawa
Un, giorno proveniente dalla Cina, attraccò al porto una nave che aveva per capitano Kuryu Oshima, un famoso combattente, che voleva battersi con i più grandi esperti di arti marziali dell’isola, per poterli incontrare cominciò a maltrattare la gente dei villaggi, togliendo loro i vestiti dopo averli provocati e picchiati. La cosa arrivò naturalmente alle orecchie di Sakugawa e la gente gli chiedeva di porre rimedio alla situazione incresciosa. «Una sera mentre i tre migliori studenti di Sakugawa rientravano, incontrarono il Capitano Oshima e gli intimarono di smetterla con i suoi soprusi e di lasciare l’isola. Egli rispose che avrebbe smesso solamente quando sarebbe stato sconfitto in combattimento. A questo punto Okuda si mise in guardia, ed attacco con incredibile veemenza lanciando più volte il suo famoso pugno, ma Oshima si spostava abilmente ed egli era incapace di colpirlo, anzi alla fine venne messo fuori combattimento, Oshima se ne andò dicendo che il giorno dopo si sarebbe trovato alla stessa ora nello stesso posto. L’indomani era Makabe che lo attendeva, e quando i due furono di fronte Makabe cominciò ad attaccare con tecniche velocissime, ma per quanto facesse, Oshima riusciva sempre a prevedere ed anticipare i suoi movimenti; alla fine anch’egli venne atterrato e sconfitto. Quando la notizia si seppe la gente voleva che Sakugawa intervenisse personalmente, ma egli impassibile rispose che nutriva la massima fiducia nel suo terzo e meno famoso allievo. Alla terza notte quando Oshima e Matsumoto si fronteggiarono, Kuryu si rese immediatamente conto di avere di fronte un avversario completo e formidabile che non presentava alcuna lacuna; e quando dopo diversi scambi egli attaccò a fondo quasi non si rese conto come Matsumoto, schivando lateralmente, lo atterrava con un colpo in modo, definitivo. Quando si riprese Oshima affermò che per lui era ormai tempo di ritirarsi dalle battaglie, ma che era comunque contento di essere stato sconfitto da qualcuno che praticava e conosceva bene le tecniche di base, i fondamentali. gli altri due suoi compagni egli disse che erano degli si degli specialisti, ma la loro particolare abilità li limitava e quindi si era rilevata insufficiente.»
Secondo Kenji Tokitsu(1), Sakugawa si recò per ben tre volte in Cina.
Fu proprio durante uno di questi viaggi che la nave su cui viaggiava anche Sakugawa venne attaccata dai pirati.
Sakugawa impugnando un bastone colpì e gettò in mare un gran numero di pirati. Alla fine però, soverchiato dal numero, Sakugawa cadde dalla nave assieme ai suoi assalitori, per poi essere tratto in salvo da una imbarcazione cinese giunta per raccogliere i naufraghi.
Ritenuto anch’egli un pirata e non essendogli data possibilità alcuna di difendersi e di offrire le proprie generalità, Sakugawa fu incarcerato assieme agli altri pirati e condannato a morte.
Il giorno prima della sentenza capitale (questa era la pena per il reato di pirateria), venne data ai prigionieri la possibilità di un ultimo pasto. I pirati si avventarono sui cibi, mentre Sakugawa, che pure non mangiava da giorni, non toccò cibo.
Meravigliati da tale comportamento, i carcerieri riferirono l’accaduto ai superiori, i quali convocarono Sakugawa.
Una volta spiegato l’incidente, i dignitari di Pechino elogiarono grandemente il maestro venuto da Okinawa ricompensandolo con speciali privilegi, tra cui l’autorizzazione eccezionale per poter soggiornare a Pechino, città in cui Sakugawa avrebbe appreso l’essenza della Scuola del del Nord che poi avrebbe fuso con la sua conoscenza delle arti marziali okinawensi: prima di lui ad Okinawa era nota solo la Scuola del Sud, praticata a Fuzhou, città del sud della Cina dove si svolgevano regolarmente i commerci con Okinawa; fondamentalmente dello stesso parere è anche Nagamine(2), per cui le possibili innovazioni introdotte da Sakugawa sarebbero in parte frutto del suo talento innato.
Si dice che a Sakugawa venne conferito il titolo di satunushi (classe intermedia del guerriero feudale peichin) per i suoi servigi al Re di Okinawa.
Fu sicuramente una figura chiave nella diffusione del Te di Okinawa.
A Sakugawa si fanno risalire diversi kata, praticati ancora oggi, tra cui il kata Kushanku (Kanku) ed il kata di Bo Sakugawa no Kon.
Sempre a Sakugawa si fa risalire l’introduzione dell’uso dei dojo kun, vale a dire delle «regole del dojo».Sebbene non vi siano prove certe, molti autori ritengono che Sakugawa, all’età di 78 anni, sia diventato il maestro di Sokon «Bushi» Matsumura (viste le controversie sulle date di nascita di entrambi, questa informazione non risulta facilmente verificabile).
SOKON «BUSHI» MATSUMURA
Sokon Matsumura nasce a Yamagawa, villaggio del dipartimento di Shuri, in data incerta (a seconda delle fonti è fatta risalire al 1798, 1800, 1806 o 1809). Anche sulla data esatta della morte permangono incertezze, per quanto pare che quella del 1899 sia la data più accreditata.
Di nobile famiglia, all’età di vent’anni divenne guardia del principe al palazzo di Shuri ed è pressoché certo che nel momento in cui gli fu affidato questo incarico, avesse già appreso tecniche da combattimento.
Diverse fonti affermano sia stato allievo di Kanga «Tode» Sakugawa, quando quest’ultimo era già in età molto avanzata, ma tale notizia non è facilmente verificabile.
L’amicizia con un dignitario del clan Satsuma gli fece ottenere l’autorizzazione straordinaria allo studio della pratica della spada della scuola Jigen-ryu.
All’età di 24 anni passò un periodo di oltre due anni presso le terre della signoria di Satsuma dove raggiunse la maestria nella scuola Jigen-ryu. La pratica base della scuola consisteva nel colpire un grosso tronco d’albero con pezzo di legno della lunghezza di un metro e trenta, partendo da un distanza di cinque metri. Si partiva da tale distanza, si percorrevano tre passi di slancio e si colpiva il tronco con tutta la forza. Dopo il primo colpo si continuava a colpire ripetutamente il tronco fino al termine della respirazione, poi l’esercizio ricominciava da capo. L’allenamento prevedeva tremila colpi al mattino e ottomila la sera, seguiti dall’allenamento nel dojo.
Nel 1836, Matsumura parte per un viaggio a Pechino assieme ad una delegazione incaricata di consegnare un tributo all’imperatore. Rimase più di un anno nella capitale cinese e durante questo periodo si dedicò all’apprendimento dell’arte da combattimento sotto l’insegnamento di un maestro chiamato Wei Bo. Va ricordato che l’arte cinese da combattimento viene convenzionalmente divisa in Scuola del Nord e Scuola del Sud. È ragionevole pensare che il maestro cinese di Matsumura appartenesse a quella del Nord. In effetti vi sono diversi elementi peculiari di questa scuola, presenti in diversi kata trasmessi dal lignaggio di Matsumura.
Tornato a Ryukyu, Matsumura riprese il suo incarico come guardia reale. Mantenne il suo mandato nel corso di tre generazioni di re e in questo periodo di tempo poté perfezionare le sue conoscenze sull’arte da combattimento grazie anche ai contatti con i maestri cinesi residenti a Kume.
La vita di Matsumura – come quella di tutti i grandi maestri del passato – resta a cavallo tra storia e leggenda, senza che il confine tra le due sia ben delineato. Sono numerosissimi gli aneddoti e i racconti trasmessi dalla tradizione orale sul suo conto.
La moglie di Matsumura
Nel 1818 Matsumura si sposa con Tsuru (o Chiru) Yonamine, giovane donna appartenente ad una famiglia di noti esperti di Karate e nota per le sue abilità nell’arte del combattimento. Si narra che una sera, dopo una festa a Naha, siccome stava facendo buio e la festa stava diventando noiosa, Matsumura disse alla moglie di rientrare. Sulla via del ritorno Tsuru passò per una boscaglia, poiché voleva fare una breve sosta al tempio, quando udì dei rumori dietro di lei. Girandosi vide tre individui sporchi che, con atteggiamento vizioso, le bloccavano la strada con il chiaro intento di derubarla o, peggio, di abusare di lei. A quel punto Tsuru avvertì i banditi di togliersi di mezzo se non volevano una lezione, al che, i banditi si misero a ridere e cominciarono ad avvicinarsi, Tsuru Yonamine si concentrò allora su colui che sembrava essere il capobanda, e senza aspettare si avvicinò a lui con movenze feline e lo colpì al viso con un calcio circolare all’indietro ben eseguito, non appena ebbe appoggiato il piede con l’altro colpì il secondo avversario all’inguine e finì definitivamente il primo avversario con un colpo di gomito all’indietro. Il terzo cercò allora di fuggire, ma con tre balzi venne raggiunto da Tsuru che lo atterrò con un calcio dietro al ginocchio e lo immobilizzò con un pugno alla tempia. Legò quindi i tre malviventi schiena contro schiena con il proprio obi (cintura). Poche ore più tardi Matsumura fece lo stesso percorso per rientrare a casa e, nei pressi del tempio, udì dei fruscii e una specie di suono gutturale. Si avvicinò e fu sorpreso nel vedere tre uomini, di cui uno col viso tumefatto, legati come dei salami. Nello slegarli riconobbe l’obi della moglie. Il mattino dopo Matsumura mise sul tavolo la cintura dicendo: “credo ti appartenga”. Tsuru, senza dire una parola, prese la cintura e continuò con le proprie faccende domestiche. A questo punto Matsumura si rese conto che quello che la gente mormorava sull’abilità della moglie era vero e pensò che un giorno avrebbe dovuto verificare di persona la sua maestria. Fu così che un giorno in cui la moglie doveva recarsi a trovare la sua famiglia, Matsumura si unse il volto, si sporco di nero fumo, mise degli abiti logori e conoscendo il tragitto che Tsuru avrebbe dovuto seguire, si appostò per tenderle un agguato. Quando la vide arrivare, la attaccò emettendo un Kiai terrificante. Tsuru reagì istintivamente, senza pensare, lasciando cadere il suo carico colpì l’aggressore con un doppio calcio al torace. Matsumura ebbe solo il tempo di vedere un tremendo uraken che lo tramortiva per poi rendersi conto che Tsuru lo stava legando all’albero. Incapace di liberarsi dovette attendere l’aiuto di alcuni passanti per poter fare ritorno a casa. Come un cagnolino con la coda in mezzo alle gambe Matsumura fece sorridere la dolce mogliettina quando fabbricò un racconto sull’aggressione da parte di un uomo mentre rientrava, il suo commento laconico fu: “Dovresti stare più attento e allenarti di più”. Matsumura umiliato per la sconfitta attendeva un’altra opportunità per rifarsi, questa si presentò due mesi dopo quando Yonamine doveva recarsi di nuovo a casa di alcuni parenti, in un luogo un po’ distante da Shuri. Matsumura attese il tramonto e si travestì da pescatore, si appostò per sorprendere la moglie, come la volta precedente attaccò con un potente Kiai, solo che questa volta mantenne la distanza.
Tsuru fece un passo indietro e si mise in guardia, mentre si muovevano in cerchi Matsumura riuscì, con un abile finta, a trovare il momento per attaccare direttamente al suo punto più vulnerabile, questo le causò un momento di smarrimento e Matsumura ebbe modo di proiettarla, poi di corsa rientrò a casa e si sedette facendo finta di starsene tranquillo e sorseggiare una bevanda. Quando la moglie rientrò lo salutò entusiasticamente, al che Matsumura le chiese a cosa doveva tanto entusiasmo. Sono felice per te, disse la moglie, perché questa notte tu hai imparato una lezione. Sapevo che eri tu ad attaccare in entrambe le occasioni ma questa volta hai appreso che in combattimento non esiste differenza di sesso, perché, come hai visto, una donna a volte può essere anche più pericolosa di un uomo, un combattimento è sempre un combattimento.
Matsumura e il toro
Il giorno del combattimento, una gran folla era assiepata nell’arena.
Il toro, un animale veramente magnifico, sbuffava e si agitava minaccioso, ma quando Matsumura entrò avvicinandosi, l’animale riconoscendolo fece dietro front e uscì dall’arena.
Nessuno aveva mai visto nulla di simile, vincere senza combattere!
Il Re dichiarò che Matsumura, vista la sua abilità nelle arti marziali, poteva fregiarsi del titolo di “Bushi”. Era la prima volta che una tale onorificenza veniva assegnata nella storia dell’isola di Okinawa.
Questi aneddoti sono spesso esagerati e arricchiti da aspetti molto fantasiosi, resta comunque un fatto storicamente accertato che Matsumura fu il primo ad istituire una scuola organizzata ed apportò al karate un nuovo slancio introducendo elementi acquisiti durante i suoi viaggi.
L’insegnamento di Matsumura è all’origine sia dello Shuri-te che del Tomari-te.
Resta uno scritto originale di Sokon Matsumura, conosciuto come «Le sette virtù del Budo». Si tratta di una lettera dedicata al suo allievo Ryosei Kuwae, la cui importanza è legata anche al fatto che si tratta di uno dei pochissimi manoscritti antichi di Okinawa rimasti intatti fino ad oggi.
Eccone la traduzione:
«E indispensabile comprendere il vero significato dell’allenamento nell’arte marziale. Preciso di seguito questa attitudine, e lei la esaminerà bene.
All’inizio, le vie dello studio e dell’arte marziale sono basate su uno stesso principio e ogni via comprende tre specie.
Le tre specie nella via dello studio sono gli studi della letteratura, dell’esegesi e del confucianesimo.
Lo studio della letteratura consiste nel praticare le belle scritture ed è utile per ottenere una migliore situazione sociale e un buon reddito. Lo studio dell’esegesi ha per scopo il comprendere meglio il significato dei testi di Confucio e l’insegnarlo agli altri. E uno studio in vista di una migliore conoscenza, ma con essa non potrete approfondire la via. Questi due studi permettono solo di ottenere degli onori nelle lettere e io non li chiamo il vero studio. Lo studio del confucianesimo consiste nel conoscere l’essenziale di ogni cosa a partire dalla via, nel rendere sincera la propria volontà, nel rendere corretto il proprio spirito e, per mezzo di questo, gestire la famiglia, governare il paese e mantenerlo in pace. E questo il vero studio, lo studio che conviene a un confuciano.
Le tre specie nella via dell’arte marziale sono l’arte marziale dell’intellettuale, l’arte marziale del pretenzioso e l’arte marziale del budo.
Nell’arte marziale dell’intellettuale, si pensa ai vari modi di allenamento e li si cambia spesso senza approfondire. Si conoscono numerose tecniche, ma la pratica è come una danza e si è incapaci di applicarle in combattimento.
Nell’arte marziale del pretenzioso, ci si agita molto senza allenarsi realmente, tuttavia si parla spesso delle proprie imprese gloriose. Si provocano delle zuffe e si offendono gli altri. Secondo le circostanze si rischia di distruggersi o di disonorare la propria famiglia.
Nell’arte marziale del budo, le cose vanno a buon fine con un’elaborazione permanente, si resta calmi anche quando gli altri sono agitati e si vince dominando lo spirito del proprio avversario. Maturando la propria arte, si arriva a manifestare le proprie capacità superiori e sottili, a restare senza turbamento in qualsiasi situazione, a non essere al di fuori di sé.
E se si tratta di lealtà e di fedeltà verso il proprio signore e i propri genitori, si diventa una tigre feroce, un’aquila piena di dignità; avendo la rapidità di visione di un uccello, si può vincere qualunque nemico.
L’obiettivo dell’arte marziale consiste nel dominare la violenza, nel rendere inutili i soldati, nel proteggere il popolo, nello sviluppare la qualità della persona, nell’assicurare al popolo la tranquillità, nel creare un’armonia tra i gruppi e poi nell’accrescere i beni della società.
Sono le sette virtù dell’arte marziale di cui il santo maestro (Confucio) fa l’elogio.
Sicché il principio è unico per lo studio e per l’arte marziale. Inutili sono le arti marziali dell’intellettuale e del pretenzioso.
Io desidero che lei prosegua nel senso dell’arte marziale del budo e che sia capace di reagire opportunamente secondo le mutevoli situazioni, dominandole.
Ho scritto quanto sopra senza alcuna reticenza, poiché è con questo spirito che deve continuare ad approfondire il suo allenamento.
Bucho Matsumura
II 13 Maggio.
Al mio discepolo Kuwae».
KOSAKU MATSUMORA
Kosaku Matsumora (1829-1898) ricevette un’eccellente formazione nello studio dei classici cinesi e del confucianesimo alla scuola del villaggio Tomari per giovani delle famiglie di alto rango.
Non molto alto ma dal fisico possente Matsumora studiò Tomari-te sotto la guida di Karyu Uku (conosciuto anche come Giko Uku) e Kishin Teruya. Fu in particolare quest’ultimo che, apprezzando le qualità di Matsumora che riteneva un deshi perfetto, gli trasmise tutte le sue conoscenze.
Matsumora divenne famoso quando, all’età di vent’anni, usando solo un asciugamano bagnato, riuscì a disarmare un samurai del clan Satsuma che stava minacciando un suo concittadino.
Come racconta Shoshin Nagamine(3), nel disarmare il Samurai Matsumora si amputò il dito mignolo, quindi gettò la spada ed il dito nel fiume Asato e fuggì lasciando attonito il samurai.
Perdere la spada in battaglia per un samurai equivaleva a perdere lo spirito ma venire disarmati da un uomo senz’armi era un disonore incancellabile.
La notizia si diffuse e Matsumora divenne una sorta di eroe popolare.
La mancanza del dito faceva di Matsumora un uomo “marchiato” ma l’intero villaggio di Tomari si mobilitò per far sì che l’uomo, nascostosi nel distretto Asoubaru di Nago, non venisse mai trovato dai samurai del clan Satsuma.
Nonostante la mancanza di un dito Matsumora divenne molto abile non solo nel Karate ma anche nel maneggio delle armi.
Un altro episodio passato alla storia ricorda come Matsumora, già anziano, alla guida di un gruppo di abitanti del villaggio di Tomari, riuscì ad intimidire i funzionari del governo Meiji intenzionati a reclamare un fondo di risparmio collettivo (Neewagumuchi) destinato ai giovani meno abbienti del villaggio. La determinazione di Matsumora e dei suoi fece sì che i funzionari se ne andassero a mani vuote lasciando il fondo al villaggio di Tomari.
Tra gli studenti formati da Kosaku Matsumora ricordiamo Giki Yamazato, Koho Kuba e Kodatsu Iha. Egli insegnò la propria arte anche a Choki Motobu.
KANRYO HIGAONNA
Il maestro Kanryo Higaonna (1853-1915) inizia nel 1867 lo studio della boxe del Pugno del Monaco (Luohan Quan) da Seisho Aragaki, interprete presso la corte di Ryukyu.
Nel marzo del 1873 Higaonna salpa per Fuzhou, nella provincia del Fukien, con una lettera di raccomandazione scritta da Aragaki per il maestro Kojo.
Higaonna studia da diversi insegnanti di arti marziali cinesi. Nei primi quattro anni studia al Kojo dojo con i maestri Kojo, Wai Xinxian e Iwah.
Studia quindi la boxe della Gru Bianca con Ryu Ryu Ko (pseudonimo di Xie Zhongxiang).
Tornato ad Okinawa poco dopo il 1880 Higaonna portò avanti l’attività commerciale della famiglia e, allo stesso tempo, iniziò ad insegnare arti marziali nei dintorni di Naha.
La sua scuola si distingueva per l’integrazione di tecniche dure (go) e morbide (ju) in un unico sistema. Egli identificava il suo sistema con il termine generico di Naha-te.
Famoso per la potenza fisica, magistralmente espressa – secondo i racconti dei suoi allievi – nell’esecuzione del kata Sanchin, e per la sua indiscussa virtù morale, il maestro venne definito kensei (“pugni santi”).
Nel 1905, insieme ad Anko Itosu dello Shuri-te, Higaonna fa uscire il Naha-te dal segreto, e ne inizia l’insegnamento nelle scuole.
Sono suoi allievi Chojun Miyagi, Chohatsu Kyoda, Taizo Tabara e Shinpan Shiroma (conosciuto anche come Shinpan Gusukuma).
* * *
Nella seconda metà del XIX secolo si identificano tre correnti di pratica, spesso ricordate col nome dei luoghi in cui erano diffuse: Shuri-te, Naha-te e Tomari-te.
Ma di lì a poco, con l’inizio del XX secolo, il Karate si accingeva ad uscire dalla segretezza che ne aveva fino ad allora contraddistinto la pratica.
– FINE TERZA PARTE –
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(1) Kenji Tokitsu – Storia del Karate – Luni edizioni – Milano 1995 – pag. 39
(2) Shoshin Nagamine – I Grandi Maestri di Okinawa – Edizioni Mediterranee – Roma 2002
(3) Shoshin Nagamine – cit.
Breve storia del Karate – Gli altri articoli pubblicati
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