di Funakoshi Gichin
traduzione dal giapponese all’inglese di Patrick & Yuriko McCarthy
traduzione in italiano di Marco Forti
Nota del traduttore: il presente articolo apparve originariamente nel luglio del 1935 sulla rivista Kaizo (numero 17 – pagg. 56-72). Kaizo era una rivista tipica, che pubblicava articoli sulla vita di tutti i giorni nel periodo Taisho, all’inzio del periodo Showa e alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Kaizo iniziò le sue pubblicazioni nel 1919 e divenne molto popolare alla fine della prima guerra mondiale, periodo in cui in Giappone si respirava un’atmosfera riformista. Tuttavia, nel 1942, a causa dei controlli sulla libertà di stampa successivi all’incidente di Yokohama, la rivista venne chiusa. Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale riprese le pubblicazioni per cessarle definitivamente nel 1955.
Si dice che le origini del karate risalgano al monaco buddista indiano Bodhidharma che attraversò montagne immense, valli profonde e grandi fiumi per arrivare a Liang. Dopo la sua predica alla corte dell’Imperatore Wu, Bodhidharma si ritirò al monastero di Shaolin nella provincia di Henan, dove passò i nove anni successivi in reclusione meditativa davanti ad una parete sul monte Songshan. Questo accadde oltre 1400 anni or sono, durante l’era Zheng Guang a Xiao, sotto il regno dell’Imperatore Ming del Wei del Nord. Si crede che dopo la morte, Bodhidharma venne seppellito ai piedi del monte Xiong Er. Molti anni dopo, quando i monaci stavano erigendo un muro attorno al luogo della sua sepoltura, venne rinvenuta una scatola di ferro che conteneva due rotoli di pergamena, il Senzuikyo e l’Ekkinkyo. Senzui significa lavar via il proprio bagaglio interiore in modo che la vera luce spirituale possa pulire l’anima. Il termine ekkin, composto da due ideogrammi che significano rispettivamente cambiamento e coltivazione della forza, si riferisce alla trasformazione della forza muscolare attraverso l’allenamento fisico.
Esistono due correnti principali nel karate, Shorin-ryu e Shorei-ryu. Il primo è l’abbreviazione di Shorinji-ryu[1] e credo che il termine Shorei-ryu abbia a che fare con l’armonia tra corpo e mente. Entrambe le correnti hanno caratteristiche specifiche. Ad esempio lo Shorei-ryu enfatizza l’allenamento fisico in congiunzione con l’Ekkinkyo che promuove lo sviluppo della durezza esterna controbilanciata dalla morbidezza interna. Al contrario lo Shorin-ryu pone enfasi specifica sullo sviluppo spirituale e si focalizza sulla coltivazione della flessibilità esterna bilanciata da una potente forza interiore.
Bodhidharma era deluso dallo stato degli Arhat di Shaolin perché in pessima forma fisica e deboli nello spirito. Allo scopo di aiutarli a risolvere il problema creò un programma basato su Senzui ed Ekkin per allenarli fisicamente, mentalmente e spiritualmente. Tuttavia si ritiene che uno degli allievi anziani di Bodhidharma, attribuendo maggior valore allo Shorei Kenpo, ritornò in India con una delle antiche pergamene lasciando i monaci di Shaolin a focalizzarsi sul Senzui.
Azato sensei raccontò questa storia molte volte e io credo che Bodhidharma fosse davvero il fondatore del karate[2] e della relativa filosofia, “Zen Ken Ichi” (nota del traduttore: “lo Zen ed il pugno sono una sola cosa”). L’artista Kosugi Hoan mi raccontò che quando egli visitò la Cina, i monaci del tempio Shaolin parlarono di Nei gong[3] e Wai gong[4]. Questi concetti corrispondono con gli stessi principi che Azato sensei descriveva come “flessibilità esterna bilanciata da una potente forza interiore”.
Questo principio coincide con quel che scrisse il Dott. Koda Rohan[5] sul fatto che lo Shaolin fosse la culla originaria del kenpo/quanfa. Anche il Chan (Zen) ebbe origine al tempio di Shaolin, prima dello sviluppo e della diffusione del kenpo. Dopo il periodo Ming (1166-1644) ci furono molti scrittori che descrissero lo straordinario quanfa del glorioso Shaolin. Erano comuni i racconti di gesta quali uccidere una persona istantaneamente con il tocco di un solo dito o il riferimento all’onnipotenza della forza dei pugni del quanfa. L’autore She Zai Hang, arrivò a dire che il quanfa di Shaolin non aveva rivali e che un monaco esperto poteva da solo sconfiggere facilmente venti avversari.
Si dice che il karate sia stato introdotto nel Regno delle Ryukyu qualche tempo dopo la sottomissione da parte dei Satsuma nel 1609 e dal successivo editto che proibiva il possesso di armi agli abitanti locali. Alcuni documenti fanno riferimento ad un cinese di nome Kusanku[6], arrivato nelle Ryukyu insieme a molti allievi per promuovere la pratica del quanfa. Da altre evidenze si rileva che ci fu anche chi si recò in Cina durante il periodo dell’antico Regno delle Ryukyu per perfezionare la propria conoscenza dell’arte. Ad ogni modo, secondo questi racconti, sono passati circa duecento anni da quando il karate[7] [quanfa] si è diffuso ad Okinawa. Nonostante tali evidenze è mia opinione che la presenza del quanfa risalga ad un periodo precedente, dato che, secondo i documenti cinesi, il Regno delle Ryukyu conobbe una lunga storia di commerci con la Cina, che si fa risalire a millecento anni or sono. Pertanto non vedo perché il karate[8] [quanfa] non dovrebbe essere stato conosciuto nell’antico Regno delle Ryukyu vista la sua popolarità nella cultura cinese. Comunque sia stato, negli ultimi duecento anni tali pratiche sono diventate più popolari ed hanno prodotto molti grandi maestri. Quando ero bambino, ad Okinawa c’erano alcuni artisti marziali locali che avevano studiato quanfa in Cina. Anche se molti di loro si allenavano duramente, si dimostrarono inferiori agli artisti marziali formati localmente. Spostiamo ora l’attenzione alle differenti caratteristiche di Shorei e Shorin ryu, dal punto di vista funzionale. Lo Shorei-ryu pone grande enfasi sul Seishin[9] ed è un metodo razionale con tecniche aggraziate che enfatizzano movimenti rapidi e la chiusura della distanza, cosa che rende possibile sottomettere ogni avversario anche se forte. Basato sulla potenza lo Shorin-ryu rende facile assumere il controllo su un avversario afferrandolo. È particolarmente efficace contro una persona forte che non conosce le arti marziali. Sapendo questo, ha senso studiare i principi di entrambi gli stili. Se si è costanti nella pratica, senza arrendersi, è possibile sviluppare un potere quasi soprannaturale che potrebbe servire, un giorno, a gestire una crisi.
A questo punto continuerò a discutere sui dettagli storici dicendo semplicemente che durante i tempi moderni, Okinawa diede i natali a due stili elaborati, che coesistono in armonia l’uno con l’altro. Storicamente le tribù[10] delle Ryukyu erano composte da gente coraggiosa con spirito combattivo. Dopo la proibizione a possedere armi, i giochi fisici e le attività simili al combattimento, come tsunahiki[11] e sumo[12], divennero passatempi popolari poiché nutrivano questo spirito combattivo innato. Sia a Shuri che a Naha il karate divenne infine oggetto di adorazione da parte dei ragazzi. Dopo il periodo Sengoku[13], la pacifica epoca Tokugawa portò l’arte della spada alla popolarità in Giappone, allo stesso modo in cui nel Regno delle Ryukyu si diffondeva il karate. Proprio in questo periodo nacquero infatti molti grandi maestri.
L’allenamento nel karate sviluppa molte abilità, incluse tecniche simili all’acrobatica. Le straordinarie abilità di alcuni esperti forgiarono reputazioni uniche che vengono ricordate ancora oggi. Uno di questi esperti era Makabe Choken, un maestro del tobigeri[14]. Un giorno si dipinse le punte delle dita dei piedi con inchiostro cinese nero prima di saltare e calciare il soffitto partendo da posizione seduta. Davanti ad una folla di persone fece un balzo di otto shaku[15] e lasciò l’impronta del piede sul soffitto, impronta visibile ancora oggi. Questo tipo di abilità rende una persona come Makabe una forza da non sottovalutare in nessuna circostanza.
A Shuri c’era un bushi di nome Tada che, a soli diciassette anni, poteva trasportare quattro balle di 4 to[16] di riso nei suoi geta[17]. All’età di vent’anni era così abile da poter saltare virtualmente l’equivalente della sua altezza e costeggiare una parete come se stesse guidando una motocicletta.
Un altro esperto era Hokama, maestro di equitazione, che poteva tenere la porta aperta anche durante una forte tempesta grazie alla sua capacità di mantenere il centro di gravità. In effetti si allenava posizionando una porta sul suo tetto mentre i tifoni soffiavano a più di 50 km/h.
Itosu Okina[18], mio insegnante, era noto per avere una presa molto forte; una volta ruppe una canna di bambù di 15 centimetri di lunghezza in tre o quattro pezzi.
Azato sensei era un maestro del nukite (mano a lancia) ed era ben noto per le sue dita forti e potenti. Una volta, da adolescente, entrò in un mattatoio e, usando quella tecnica, spinse le dita nel corpo senza vita di un maiale.
Nella mia adolescenza lessi un racconto eroico di guerra che riportava l’incontro sul monte Hakone tra Musashi Miyamoto e Sekiguchi Yataro. Musashi spazzò i piedi di Sekiguchi con una forza tale da aspettarsi di vedere quest’ultimo rovinare a terra. Invece sembrò svanire in aria! Sbalordito Musashi guardò in altro sentendo la voce di Sekiguchi che si trovava sopra la porta Torii[19]. Certo questa storia deve essere esagerata ma ci sono ancora illusionisti in grado di far sì che qualcuno sembri scomparire da davanti agli occhi.
Ci sono quelli che possono rompere tazze da te o kiseru[20] con poco più della forza della loro presa. Alcune persone possono camminare per quindici passi avanti e indietro trasportando kame (giare di ceramica) del peso di 30 kin (18 Kg) tenendole con la propria presa sul bordo superiore. Tuttavia, anche se un bujin è capace di eseguire molti tipi di tecniche speciali, tali prodezze non sono richieste in quanto ciascuno ha particolari talenti e abilità. Ciò comprende naturalmente anche rompere tegole e tavole di legno. Divertenti come sono, tali tecniche non sono diverse dal tameshigiri[21] che si usa nell’arte della spada.
Tuttavia questo tipo di performances non devono essere considerate arti marziali. Lasciatemi fornire un esempio qui sotto.
Uno dei maestri più noti del karate moderno fu Matsumura-okina, che istruì nell’arte molti allievi di Shuri e Naha presso la residenza del re. Un giorno alcuni allievi esperti chiesero al maestro di poter effettuare una dimostrazione in suo onore. Curioso di vedere quel che avrebbero fatto, il sensei accettò. Il primo iniziò a correre ed il secondo balzò sulle spalle del primo nel momento in cui gli passò davanti. Il terzo allievo si aggiunse saltando e arrampicandosi fino alle spalle del secondo. Quando la dimostrazione terminò c’erano cinque allievi che stavano correndo come fossero un’unica entità. Si aspettavano che il maestro fosse impressionato ma Matsumura non pareva esserlo, né si prese la briga di gratificarli. Pur senza negare le loro abilità, le acrobazie non rappresentano l’essenza principale delle arti marziali, servono ad intrattenere e nessuno dovrebbe temerle. La moglie del maestro, Tsuru, era presente in quell’occasione ed assistette alla dimostrazione. Era anche lei una nota artista marziale che non perse tempo ad avvisare uno degli allievi dopo aver notato il suo comportamento maleducato. Sposati attraverso il karate, le loro prodezze sono ricordate ancora oggi. Lasciatemi approfittare di questa opportunità per narrarne una.
Il cognome da nubile di Tsuru era Yonamine e, dall’età di 16 o 17 anni, la sua reputazione di donna bella e giovane era nota in tutto il regno, fino a Naha. Una sera, mentre Tsuru stava camminando alla periferia della città, un malintenzionato cercò di attaccarla. Fortunatamente ella riuscì a fuggire senza nessun danno ma decise, dopo quella disavventura, di chiedere ai suoi genitori di poter studiare le arti marziali.
Accettata da un insegnante famoso, Tsuru si allenò diligentemente fino a progredire ad un livello superiore a quello di quasi ogni uomo. Infatti il suo insegnante sosteneva che l’unico ragazzo in tutto il regno che ella non sarebbe stata in grado di battere era il figlio di Matsumura. In quei giorni il dokyo-dameshi/ude dameshi[22] era una moda popolare tra i giovani artisti marziali che desideravano mettersi alla prova e Tsuru non aveva ragione di credere che non avrebbe potuto partecipare a tali sfide. Il miglior luogo, tuttavia, per lo shiai[23] senza esclusione di colpi era il quartiere a luci rosse di Naha. I giovani provenienti da Shuri erano soliti recarsi in quel luogo ogni sera con il solo obiettivo di divertirsi e sfidarsi. Solo poche case separavano le due città e per i giovani di Shuri recarsi a Naha era semplice. Tsuru Yonamine attendeva tra Shuri e Naha e spesso sfidava ogni giovane praticante disponibile ad accettare l’invito senza perdere un solo incontro. La sua fama si diffuse rapidamente, intimorendo i codardi e provocando la curiosità dei giovani sicuri di sé e degli stolti. Nessuno riusciva a vincere contro di lei. Il giovane Matsumura sensei, avendo sentito parlare di Tsuru, non riusciva a credere che una donna potesse essere più forte di un uomo e così decise di sfidarla. Mettendo in gioco la sua stessa reputazione, non tardò a scoprire che le sue abilità erano davvero notevoli. Tentò con grande difficoltà di tenerle testa, ma rischiò addirittura di venire atterrato. Se tutto questo non era già una sorpresa, mancava ancora lo shock finale quando lei gli prese la mano e serenamente gli propose di sposarla. Per quanto il giovane Matsumura sensei fosse forte, rimase immobile e senza parole di fronte alla sua avversaria, trovando la sua bellezza ed il suo spirito irresistibili.
Ho incontrato personalmente il nipote legittimo della famiglia Matsumura, che è ancora vivo e ha circa la mia stessa età, e insieme abbiamo parlato dell’abilità di sua nonna. Mi ha riportato un suo ricordo: “A quei tempi la nostra casa era un birrificio ed ogni volta che i sacchi di riso in eccedenza non potevano essere depositati in magazzino, vedevo mia nonna alzare sacchi di paglia colmi di riso di cinque to[24] con una mano sola mentre spazzava l’engawa[25] tenendo la scopa con l’altra mano!” Giudicando in base a questo aneddoto sembrerebbe che Tsuru non avesse mai smesso di allenarsi.
Entrambi i miei insegnanti, Azato e Itosu, erano discepoli di Matsumura okina. Ammiravo come fossero rimasti amici fraterni nel corso della loro vita, ma soprattutto come fossero rispettati in modo autentico dalle loro comunità. Grazie ad un incontro casuale divenni amico di un ragazzo di tre anni più vecchio di me. Era il figlio di Azato sensei, e proprio tramite lui iniziai a praticare karate. Per tradizione, Azato sensei osservava una comune linea di condotta che prevedeva di non insegnare ai propri figli, ma piuttosto di mandarli da un altro maestro. Perciò suo figlio venne mandato da Itsou per apprendere l’arte. Sebbene io non andai con lui fin dall’inizio, non dovetti aspettare molto per essere invitato ad accompagnarlo. Durante il giorno frequentavamo la scuola, cosi il nostro allenamento con Itosu sensei era limitato dalla sera fino a notte fonda; spesso non tornavamo a casa prima dell’alba.
Sebbene Itosu e Azato fossero stati compagni di pratica, avevano idee differenti. Un esempio era la loro attitudine verso il combattimento. Itosu sensei affermava che combattere senza motivo fosse un’azione priva di valore e da evitare. Inoltre sosteneva la necessità di non ferire un aggressore che non costituiva una reale minaccia, ma che fosse sufficiente dargli una lezione prima di lasciarlo andare per la sua strada. Al contrario, invece, Azato sensei era molto più serio sulla questione. Se qualcuno prova ad attaccarti e non riesci a rispondere immediatamente, poi sarà troppo tardi. Itosu sensei sosteneva la sicurezza personale e la tolleranza. Azato sensei predicava una continua consapevolezza.
Persino le abilità dei due maestri erano profondamente diverse. Un giorno entrambi si trovarono circondati da un gruppo di giovani malviventi in cerca di guai. Trovandosi senza via di fuga e non avendo alternative, dovettero difendersi. Itosu tolse di mezzo velocemente la metà degli aggressori colpendoli in modo serio, ma non eccessivo. Azato lasciò l’altra metà dei malviventi stesi a terra gemendo dal dolore.
Nel periodo dell’antico Regno delle Ryukyu, Azato sensei ricopriva la posizione ufficiale equiparabile a quella di un daimyo minore in madrepatria[26]. Inoltre prestò servizio come uno degli ultimi ministri[27] nell’amministrazione del Regno ed era in rapporti amichevoli con Hirofumi Ito (il primo Primo Ministro del periodo Meiji). Le sue opere letterarie, negli studi classici sia giapponesi che cinesi, furono scritte sotto lo pseudonimo di Rinkakusai e ricevettero grande considerazione. Azato studiò equitazione con Mekata sensei, un precettore del periodo Meiji, l’arte della spada con Ishuin Yashichiro della scuola Jigen ryu, e tiro con l’arco con Sekiguchi sensei. Azato sensei non smise mai di studiare e importò l’essenza dei propri studi nel suo karate. Ho rispettato molto i suoi sforzi ed il suo atteggiamento. C’è un antico proverbio che dice: «se una persona eccelle in un’arte, allora può trionfare su coloro che ne praticano molte[28]». Questa espressione sintetizza la personalità di Azato sensei.
Ci fu un uomo chiamato Kanna-no-kata-nikai[29] largamente rispettato in quanto miglior uomo di spada delle Ryukyu. Kanna-san godeva anche di grande considerazione nel regno per la competenza nei classici giapponesi e cinesi, oltre che nelle arti marziali. Aveva spalle come una casa a due piani e non sorprende da dove derivi il suo soprannome. Nonostante la sua incredibile mole e forza e tutti i suoi tentativi, non riuscì mai, con suo grande disappunto, a surclassare il sensei. Quando interrogai il sensei riguardo a questa questione, disse: «la tecnica di Kanna non era inferiore alla mia, ma quando si osservano le persone da un punto di vista marziale, bisogna tenere presente tre considerazioni: man[30], san[31] ed etsu[32]. Il carattere di Kanna incarnava senza dubbio la prima. Questo tipo di personalità tende a guardare le altre persone con aria di superiorità. Sarebbe stato impossibile sconfiggere un avversario la cui indole fosse rafforzata da sun oppure da etsu.
Una persona poco preparata non può competere con qualcuno che possiede forti caratteristiche man. Fingendo di essere impreparato, un avversario molto sicuro di sé tende ad attaccare in modo imprudente. È come lanciare l’esca ad un pesce affamato: il pesce vede il cibo e lo afferra immediatamente. Come Kanna, il suo attacco è vano anche se mi affrontasse con il bokuto o con il karate”.
Sempre bramoso di porre al sensei una pletora di domande, da lui ho ricevuto molte lezioni preziose, con la consapevolezza che in futuro avrei tramandato le sue parole a suo figlio, nel momento adatto. Ricordo che sensei mi diceva che solamente dopo essere diventato padre aveva finalmente compreso il concetto confuciano di avere altri maestri incaricati di insegnare ai propri figli[33]. Con il passare degli anni le sue lezioni divennero sempre più ricche di significato.
C’è un proverbio nell’arte della spada che afferma: “La lama di una spada può uccidere una persona”, che è stato ripreso in altre tradizioni come nel tiro (“un proiettile può uccidere una persona”), nel tiro con l’arco e addirittura nell’arte della lancia. Vale anche per il karate: “un pugno può uccidere una persona”. Ritengo che tale detto denoti un certo rispetto per la tradizione, ma non credo sia veramente apprezzato.
La via delle arti marziali può essere davvero compresa soltanto quando si sia sviluppata la capacità di terminare una vita umana in combattimento. Quando si usano i pugni, raramente si vede sangue, perché le ferite esterne non sempre lasciano lividi. Non c’è ragione di discutere in merito a cosa può uccidere più velocemente una persona, se una spada o un pugno, poiché è ovvio che una lieve ferita causata da una spada può rimarginarsi velocemente. Dall’altra parte, ci sono vittime da colpi di karate che non hanno preso sul serio le loro ferite e sono deceduti alcuni anni dopo.
Mi domandano spesso quanto sia efficace il karate contro armi letali e ordinarie. La storia testimonia di molti audaci resoconti di coraggiosi esperti di karate, ma non dimentichiamoci che le armi sono semplicemente degli strumenti presi in prestito. Qualsiasi praticante di arti marziali competente sarebbe capace di prendere il comando di situazioni simili. Vi fornirò un esempio condividendo la storia dei fratelli Yoshioka, due eccellenti uomini di spada.
Uno dei fratelli Yoshioka smise i suoi studi di arti marziali per dedicarsi al commercio nella classe dei mercanti. Passarono anni senza alcun incidente e poi una notte venne attaccato da uno tsujigiri (辻斬)[34]. Riuscì ad evitare di essere colpito dalla spada sebbene non praticasse da anni. Lo tsujigiri sferrò un altro attacco, ma Yoshida prese in mano la situazione e scaraventò l’avversario a terra. Respirando lentamente e osservando lo tsujigiri a terra, quella che doveva essere la vittima disse: “Io sono Yoshioka… quale rancore nutri contro di me?”. Completamente fuori di sé, il criminale si scusò profusamente. Questo è un esempio perfetto di come si possa giudicare male una persona semplicemente perché non porta armi. E non è neppure saggio giudicare la bravura di qualcuno solo perché porta delle armi. Il punto in questione rimane sempre l’abilità.
Era l’estate del 1928, dopo il “Teppan-jiken”[35] ad Osaka, periodo in cui le voci di quanto fosse terrificante il karate iniziarono a diffondersi da un capo all’altro del Kansai. Un episodio bizzarro che coinvolgeva un uomo a 5-6 ri[36] da Naha con l’uso del karate, venne riportato sul giornale di Osaka. L’articolo del giornale descriveva quanto fosse stato difficile arrestarlo e, sebbene fosse solo un praticante amatoriale, ci vollero quasi tre ore e ben trenta poliziotti per riuscire a bloccarlo. Una questione alquanto complicata, recentemente ho sentito che si stava discutendo alla corte d’appello di Nagasaki, se il karate sia veramente un’arma letale oppure no. Una cosa è certa, questo è un esempio di quanto il karate sia efficace.
Circa sei o sette anni fa insegnavo karate in una scuola per ragazze. Un giorno insegnai alle ragazze tre o quattro tecniche di autodifesa. Il giorno dopo una delle ragazze mi raccontò di essere stata afferrata da dietro con una presa full nelson da un energumeno la sera precedente e di aver reagito usando esattamente la tecnica che io le avevo insegnato, riuscendo a proiettare a terra l’uomo.
Vorrei descrivere anche un altro episodio. In una sera buia, una giovane donna, cintura nera, rientrava a casa in periferia dopo essersi allenata fino a tardi nel centro sportivo. Uno straniero le si avvicinò intavolando una conversazione basata su quanto fosse tardi per una ragazza così giovane e sola. Lei lo ignorò e continuò a camminare, ma lo straniero insisteva e alla fine le si avvicinò. Lei si fermò bruscamente, si girò lentamente, si accostò allo straniero e si dispose in una posizione di karate e urlò rabbiosamente “cosa vuoi?”. Visibilmente scosso da suo kiai, l’uomo fece una strana faccia e scappò via scomparendo tanto velocemente quanto era apparso.
La vittoria in una competizione porta a vantarsi della propria prodezza. Che si vinca o si perda, non è necessario vantarsi del risultato. Spesso i giovani dal sangue caldo sono facili al combattimento e vincono grazie alla loro forza. Tuttavia gloriarsi delle proprie prodezze rende questi giovani solamente troppo sicuri di sé e di conseguenza vulnerabili. Una volta, quando ancora vivevo nel mio paese natale, un giovane muscoloso mi fece visita. Non aveva fatto molto da quando aveva terminato la scuola media inferiore e si vantava di poter sconfiggere cinque persone in una volta sola. Immagino che ricevere una visita da una persona del genere avrebbe impaurito chiunque, invece io mantenni la calma. Giudicando dalle sue dimensioni ero praticamente certo che questo ragazzo avrebbe probabilmente battuto dieci o addirittura venti persone deboli, ma contro anche un solo buon lottatore non sarebbe durato neppure dieci secondi. Non volendo deludere il giovane, lo invitai ad attaccarmi usando tutta la sua forza, promettendo che non avrei reagito colpendolo. Senza ulteriore incoraggiamento, cercò di colpirmi, ma non servì a nulla. Quando il giorno successivo lo incontrai, aveva entrambi i polsi coperti da bende. Naturalmente gli chiesi se aveva avuto una nottata difficile e lui con un’espressione imbarazzata sul viso, negò. Mi disse che i suoi polsi si erano gonfiati dopo che ieri avevo bloccato i suoi pugni! Dopo quello scontro, decise di ascoltarmi, cambiò attitudine e divenne mio allievo. Ci fu un altro episodio simile a questo e anche in quel caso la persona cambiò il suo modo di vedere le cose e divenne mio allievo.
Personalmente non ho grandi storie da raccontare riguardo a mie vittorie e posso dire di non avere mai ferito nessuno in tutti questi anni di pratica nel karate. Infatti vincere senza combattere è la più grande vittoria. Lasciate che vi spieghi una lezione del mio defunto maestro. Azato sensei era solito affermare che “la vittoria in un combattimento non garantisce l’illuminazione, vincere senza combattere personifica il vero spirito del guerriero”[37]. Si tratta della stessa strategia tattica utilizzata dall’esercito in qualsiasi nazione saggia. In questo caso esiste la differenza tra un bluff infondato e un atteggiamento dignitoso di vera forza. Cosciente delle proprie parole, questo guerriero non ha mai ucciso nessuno. Combattere invano è come uno stelo di riso che non produce cibo: non ha alcun valore[38]. E ancora, come ricorda un proverbio “sono i vasi vuoti a fare più rumore”.
Lasciate che vi riporti una lezione importante che condivido sempre con gli allievi di arti marziali più giovani e impressionabili: “sforzarsi di essere come un adulto che riesce ad accettare l’egotismo di un bambino”. Mi aspetto che gli allievi si allenino duramente e diventino abbastanza esperti per capire quando un avversario è meno forte di loro. Bisogna cercare di non sottovalutare nessuno, questa mentalità conclude che il combattimento e la violenza fisica sono solo una perdita di tempo, mentre bisogna allenarsi nella difesa personale. Come un adulto che accetta l’ego di un adolescente. Qualche volta il comportamento dei bambini è irresponsabile? Sì. E questa sarebbe una buona ragione per percuotere un bambino? No. L’essenza del karate si trova nella progressione dalla tecnica (jutsu) alla via (michi), dal karate jutsu al karate do[39]. Il termine karate jutsu non viene praticamente più utilizzato a Okinawa da quando è stato introdotto il termine karate do.
Per me “Karate ni sente nashi”[40] è l’essenza basilare del karate do. Questa osservazione impone che l’azione richieda una risposta e che se non vi è attacco allora non è necessario difendersi. Se la vittoria è sicura, allora sia l’immobilità che il movimento, come l’infinità dello yin e dello yang, devono essere intuite come se si avessero occhi anche dietro alla testa. Una spada che taglia l’aria può essere poco tagliente come il piombo, ma i pugni di ferro forgiati nella fornace del karate hanno un incredibile potere mortale. Coloro che agiscono senza pensare e combattono senza motivo è come se invitassero la morte.
Un poema cinese afferma: “un’aquila spiega le ali e vola via proprio un momento prima di essere colpita da un’arma da fuoco”. Senza esperienza e intuito una persona stupida è incapace di percepire le reazioni di un maestro. Soltanto una persona sulla retta via e che ha perfezionato le tecniche di base è capace di spontaneità funzionale, l’abilità di muoversi al proprio volere.
Il karate ha circa venti kata, che sono come libri di testo per gli studenti o manovre tattiche per i soldati. Questa pratica è equilibrata dai principi dell’onestà, gioco corretto e modestia, oltre ad essere razionali e logici. Nei tempi antichi i maestri solevano testare il carattere ed il comportamento di un potenziale allievo prima che egli si guadagnasse la loro fiducia. Un maestro non avrebbe mai accettato che una persona di natura cattiva diventasse suo allievo, anche se si fosse trattato del proprio figlio. Al contrario, si dice che il karate possa rendere gentile anche l’uomo più feroce. I maestri nella scuola in cui insegno mi informano spesso che i miei allievi di karate diventano gradualmente più garbati. Commenti del genere sono un piacere e rendono orgogliosi.
Nell’estate del 1922, il Ministro dell’Educazione organizzò la prima dimostrazione nazionale di atletica a Tokyo. Fui invitato a presentare la poco conosciuta arte del karate e portai con me dei rotoli informativi. Dopo l’esibizione, visitai la residenza privata di Kano Jigoro sensei e mi offrii di effettuare una dimostrazione per lui. Il sensei ne fu felice ma disse che la mia visita meritava un pubblico più ampio, non limitato alla sua sola persona, così mi chiese di tornare dopo un paio giorni. Quando tornai, scoprii con sorpresa che aveva invitato molti judoka di alto rango e circa ottanta studenti del suo dojo di Tomizaka shimo. Kano sensei provò l’arte del karate e mi pose svariate domande. Chiese inoltre anche agli altri judoka di alto rango di pormi ogni tipo di domanda. Durante la mia dimostrazione, mentre spiegavo come colpire con il pugno e allo scopo di meglio evidenziare ciò che stavo illustrando, mantenni il mio braccio esteso. Un 9° dan di nome Yamashita mi chiese perché non lo avessi ritratto. Sebbene la domanda mi sia sembrata alquanto semplice, sapevo che solo un esperto allenato ne avrebbe compreso le implicazioni. Risposi senza esitazione che non appena il pugno viene scagliato, è seguito da un’altra tecnica.
In effetti questo argomento mi ricorda una questione simile. Dopo la visita a Kano sensei, incontrai Yagyu shihan ed il defunto generale Yashiro al dojo Hekikyo-kan a Ushigome Wakamatsu-cho, Tokyo. Il dojo apparteneva a Tajimanokami Yagyu[41]. Mi accompagnava uno studente di karate[42] di Okinawa per assistermi nella dimostrazione. Una delle tecniche che eseguii fu una parata su un calcio, seguita da un pugno indirizzato alla faccia del mio avversario. In questa occasione spiegai l’importanza di “riuscire a liberare la mente”. Yagyu shihan, maestro di spada, sembrò cogliere immediatamente il significato della mia dimostrazione. In seguito fece notare che lo spirito di tutte le arti marziali è il medesimo, come ben espresso dalla massima “i waza non dovrebbero essere limitati” tramandata all’interno della loro tradizione.
Il maestro Azato ricordava sempre i principi dello yin e dello yang e ci incoraggiava a percepirli ricorrendo ad un’antica espressione: “il ki/qi rappresenta la battaglia che esiste nell’universo, e se saremo incapaci di utilizzare quest’energia, la vittoria sarà fuori dalla nostra portata”. Allo stesso modo nel karate l’attacco e la difesa sono intercambiabili, così come i principi che regolano lo yin e lo yang si influenzano l’un l’altro.
Sebbene il karate stia diventando popolare nei distretti di Tokyo e di Osaka, ci sono ancora molti giovani che non ne hanno mai sentito parlare. Ci sono giovani che studiano a livello individuale e altri che partecipano a lezioni di gruppo al dormitorio di un grande magazzino locale. Io stesso insegno in nove diverse scuole superiori e università, cosa che contribuisce alla diffusione della pratica del karate.
Quando arrivai a Tokyo la prima volta[43], in pochissimi avevano sentito parlare del karate e di certo nessuno avrebbe immaginato la popolarità che oggi sta raggiungendo. La mia intenzione iniziale era quella di introdurre il karate, ottenere il maggior numero di contatti, tenere dimostrazioni dell’arte ovunque mi fosse possibile ed infine fare ritorno a Okinawa. In quel periodo incontrai un noto arista di nome Kosugi Hoan che mi invitò a tenere un seminario presso il club popolare di Tokyo[44].
Naturalmente accettai tale offerta con entusiasmo, e ricordo chiaramente l’incontro con il signor Harishige[45] dell’associazione di tennis, e con un altro artista, Ishi Tsuruzo, che erano presenti tra i partecipanti. Avevo già sentito parlare dell’artista Kosugi Hoan in precedenza, perché una volta aveva visitato la mia città natale. Più tardi scoprii che Kosugi aveva una passione dichiarata per l’esercizio fisico e stava studiando karate da oltre dieci anni. Adesso, ogni volta che parla pubblicamente di karate, mi sento lusingato quando afferma con orgoglio di essere stato il mio primo allievo nell’area di Tokyo.
Dopo un’intera piacevole settimana di seminario al club popolare, l’ultimo giorno venne organizzata una cena d’addio in mio onore. Nel corso della cena, Kosugi mi suggerì di scrivere qualcosa sul karate, poiché dopo il mio rientro ad Okinawa non avrebbe più avuto nessuno a cui fare domande. Dopo cena rientrai al mio alloggio nel dormitorio studentesco della prefettura, dove, sebbene avessi bevuto più del dovuto, iniziai a riflettere su quanto scrivere. Il mattino seguente avevo abbozzato un libro intero e nel giro di pochi giorni il libro fu completato. Non appena terminai di scrivere il libro andai a far visita a Kosugi per mostrarglielo. Era sorpreso e impressionato di come fossi stato veloce a completare il mio compito. Scoprii anche di avere frainteso quello che Kosugi mi aveva detto. Mi aveva semplicemente chiesto di scrivere un articolo per una rivista, ma io mi ero convinto che si aspettasse un libro da me. Di tanto in tanto scherza ancora su questa storia e ricorda che la velocità del mio karate era equiparata solamente alla rapidità con cui scrivevo.
Il destino è sicuramente una cosa strana dato che fu solo un piccolo incoraggiamento da parte di una persona come il signor Kosugi insieme alla mia confusione, che mi fece decidere di rimanere a Tokyo per oltre dieci anni anziché per pochi giorni come avevo pianificato inizialmente. Senza dubbio se non avessi frainteso la richiesta del signor Kosugi sarei rientrato nella mia città natale dopo aver scritto un breve articolo, aspettando una nuova occasione per tornare a Tokyo. Ero praticamente pronto a ritornare quando il club popolare mi offrì quell’opportunità. Questo è un esempio di come le cose possano trovare una svolta positiva da un semplice fraintendimento. Naturalmente intendo rimanere a Tokyo a tempo indeterminato.
Ora ho sessantasei anni ed ho iniziato la pratica quando avevo dodici o tredici anni. Da allora non ho mai smesso di allenarmi. Anche se pratico da ben cinquantaquattro o cinquantacinque anni non sono sicuramente un’eccezione, infatti ci sono molti appassionati di karate come me. Azato sensei morì all’età di ottant’anni. Itosu sensei cavalcò il suo cavallo fin alla Shihan-Gakko[46] ogni giorno finché ci lasciò all’età di ottantacinque anni. Matsumura okina, insegnante di Itosu e Azato, morì alla veneranda età di novantatré anni. Credo che questi maestri avessero una salute cagionevole da bambini e proprio per rafforzare il loro fisico vennero introdotti alla pratica marziale. Per esempio, Azato sensei era un bambino fragile e iniziò a studiare karate proprio a causa della sua costituzione debole. Io stesso soffrivo di digestione difficile prima di iniziare la pratica del karate. Infatti andavo dal medico per avere la mia medicina quotidiana. I membri della sua famiglia avevano prestato servizio come medici della famiglia reale per sette generazioni. Dopo avere iniziato ad allenarmi nell’arte del karate non ebbi più bisogno di tornare dal medico e non mi ammalai più. Sebbene suoni un po’ bizzarro, forse ancora più in linea con quello che potrebbe scrivere il fondatore di una setta religiosa, sembra che la malattia sia nemica del karate.
Comunque sia, non ho perso un solo giorno di lavoro in ventitré anni di impiego come insegnante in una scuola elementare.
Recentemente mi trovavo in treno, al rientro da una lezione di karate tenuta all’università. Era pieno pomeriggio, un orario in cui il treno non è così affollato. Sul treno c’era un uomo ubriaco e un po’ troppo allegro. Si guardava attorno in modo irrequieto, finché non mi vide e avanzò barcollando fino a me. Avvicinò il naso alla mia bocca e, dopo aver inspirato rumorosamente con il naso come un cane quando annusa, chiese conferma del fatto che non avessi bevuto. Glielo confermai. In quel momento lui indietreggiò, mi fissò e con modi molto formali farfugliò un complimento affermando che il mio colorito era brillante e alquanto ammirevole. Il resto dei passeggeri mi guardò e iniziò a ridere allegramente.
Vorrei raccontarvi un altro episodio in merito al mio aspetto che risale a quando ancora abitavo nella mia città, ad Okinawa. Un giorno una persona benestante e abituata a mangiare come un re, notò il mio bell’aspetto e mi chiese di condividere con lui il segreto della mia dieta. Gli dissi che seguivo una dieta semplice e che non mi ero mai preoccupato della mia alimentazione. Non riusciva a capire come fosse possibile.
Ho un’opinione da molti condivisa sull’aspetto di una persona: sottoporsi a un esercizio appropriato ci rende naturalmente sani e aumenta la circolazione sanguigna, migliorando, di conseguenza, il proprio aspetto. Questo è semplicemente logico e ordinario. Un medico mi disse che un terzo del nostro sangue è congestionato nelle persone con una digestione debole, questo è la causa di una carnagione pallida. Sarebbe un miracolo per chiunque avere un bel colorito con una circolazione povera. Oltre all’aspetto, vorrei parlarvi anche del fisico. Alcuni anni fa, quando compii sessant’anni ricevetti un complimento degno di essere menzionato. Io e il mio terzogenito insegniamo karate all’Università Imperiale di Tokio. Un giorno un professore, dopo avermi guardato insegnare, disse a mio figlio che ero giovane e si chiedeva se avessi ancora quarant’anni. Persino gli abitanti del villaggio, che conosco da molto tempo, ammirano il mio aspetto giovanile e sostengono che ci sia uno squilibrio tra la mia età reale e quella dimostrata dal mio corpo. Anche se questo commento è adulatorio, è vero, sembro più giovane. Personalmente, non sarei disturbato da un aspetto più giovane e desidererei averne uno. Anche quando si invecchia, il corpo non deve avere fretta di seguire la senilità fino alla tomba.
Ritengo che la questione dell’età e del corpo sia importante e ho un altro episodio interessante da condividere con voi. In questi anni ho vissuto nella mia città natale, quasi ogni anno venivo selezionato come giudice agli incontri di sumo (tegumi) al tempio di Naminouegu. Avevo studiato l’età degli atleti provenienti dai diversi distretti della prefettura di Okinawa ed ho potuto constatare che gli atleti tendono a raggiungere la forza massima intorno ai ventisei anni, sebbene altri siano convinti che sia a venticinque anni. C’era un’unica eccezione nei miei studi, un famoso lottatore di sumo che viveva a circa quindici chilometri dalla capitale prefettizia della città di Naha. Sebbene avesse quarant’anni, continuava a gareggiare per il suo distretto. Alla sua età se avesse perduto avrebbe avuto una buona scusa per ritirarsi. In caso di vittoria avrebbe invece acquistato grande credito. A dispetto della sua età, l’avevo classificato nelle più alte posizioni dei san-yaku[47]. Il suo avversario, naturalmente, sapeva di essere il più forte della prefettura. Il sumo okinawense è un po’ diverso da quello praticato in madrepatria, infatti i contendenti afferrano uno la cintura dell’altro con entrambi le mani nel corso dell’attacco ed è consentito poggiare a terra mani e ginocchia se lanciati. Atterrare sulla propria schiena significa sconfitta e la vittoria finale è sancita dal risultato di tre incontri. Ferite causate da spinte sono naturalmente rare. In ogni caso, in questa particolare gara il quarantenne scagliò a terra con violenza l’avversario più giovane e più grosso più volte di seguito, finché la vittoria non fu sua.
Studiosi e medici affermano che gli atleti raggiungono il loro massimo tra i quindici e i quarant’anni, sebbene la maggior parte delle persone sia incline a interrompere la pratica atletica all’età di trent’anni. In realtà, la condizione fisica non inizia a declinare a trent’anni, bensì migliora, attraverso l’esercizio. Quattro o cinque anni fa un uomo di quarant’anni originario di Hokkaido vinse la corsa di lunga distanza tra Tokyo e Osaka. Il primo campione di sumo sponsorizzato dal giornale Nichi era un ex tochigiyam quarantenne che ora si è ritirato. Ci sono persone ultrasessantenni che continuano ad allenarsi ogni giorno per competizioni a lunga distanza e non sono meno forti dei giovani. Secondo me le persone non perdono la loro forma neppure a sessanta o settant’anni. Infatti, finché siamo in grado di mantenere un’attitudine mentale positiva, un allenamento costante e fiducia nella nostra condizione fisica, restiamo giovani. Inutile dire, comunque, che tutto dipende dall’esercizio fisico.
A Okinawa, gli uomini anziani vengono chiamati tanmei (anziani), ma l’uso del termine è considerato scortese. Un karateka anziano è chiamato bushi tanmei (praticante di arti marziali anziano), perché avendo dimostrato la sua forza, più anziano diventa, più è rispettato.
Al contrario di quel che accade in madrepatria, ad Okinawa il termine bushi non indica un membro della classe samurai, ma piuttosto un praticante di arti marziali. Non si tratta solamente di un preconcetto, i maestri di karate moderno delle Ryukyu possiedono un immenso buchikara (potenza marziale). Tali persone non sono mai state sconfitte neppure da studenti molto esperti che potevano essersi allenati quaranta o cinquant’anni sotto la guida di un maestro. Anche se il maestro fosse stato attaccato da studenti più giovani e più forti, e lui fosse stato molto malato, dubito che ne uscirebbe sconfitto. Non è un miracolo che praticanti di arti marziali appartenenti a varie tradizioni diventassero sempre più forti di anno in anno.
A Okinawa i bushi tanmei sono considerati kohijin. In breve, il termine kohijin indica qualcuno che non è solo forte, ma anche sessualmente attivo. Mantenere una mente giovane, insieme a un continuo allenamento fisico, incentiva una mentalità sana e migliora la propria forza nel corso dell’intera vita. È fuor di dubbio che il bushi tanmei sia tutt’altro che un anziano vacillante. Molti uomini d’affari e politici sono in buona salute e ancora vigorosi in età avanzata. Sebbene non si siano allenati fisicamente, mantengono il loro spirito vivo e giovane.
L’altro giorno alcuni ragazzi mi hanno portato in gita a Shiobara, nella prefettura di Tochigi. Indossavo un paio di bassi geta (zoccoli) comodi e semplici che usavo ogni giorno quando le condizioni climatiche erano buone per camminare in montagna. Uno dei miei compagni s’informò su come riuscissi a camminare con quelle calzature senza cadere. Sebbene mi fossi trasferito in periferia, raggiungevo ancora Tokyo ogni giorno con quei geta di semplice fattura per insegnare karate in un paio di università e non sono mai né caduto né giunto a destinazione con il respiro corto. Sono fiducioso che in questo modo manterrò il mio fisico in forma per tutta la vita.
Le origini del karate sono legate alla prevenzione del declino fisico e dell’atrofia spirituale. Che valore avrebbe il mio sforzo, se dopo cinquant’anni dedicati all’allenamento dovessi crollare? Nel corso della nostra giovinezza siamo spesso confusi dalla delusione, tuttavia più invecchiamo meno siamo disorientati. È proprio nel momento in cui miglioriamo il peso e la flessibilità del nostro corpo che possiamo vedere in modo chiaro il movimento di un avversario e questo è il mezzo per perfezionare le nostre capacità.
Come conclusione di questa presentazione, vorrei citare brevemente le caratteristiche del karate, tuttavia deve essere chiaro che esso inizia e termina con il kata. Se ci si muove verso sinistra, si deve essere in grado di muoversi anche verso destra. Se si fa un passo avanti, si dovrà fare anche un passo indietro. Se si usa la mano sinistra, si farà uso anche della destra. Se si calcia con il piede sinistro si dovrà saper calciare anche con quello destro. In conclusione, l’intero corpo viene utilizzato in ogni sua parte in armonia ed equilibrio. Ogni movimento ha anche un significato (difensivo) contro un avversario immaginario, il che naturalmente rende la pratica più interessante. Inoltre, non si dipende dagli altri, infatti l’arte del karate può essere praticata da soli, sempre e ovunque, anche solo per alcuni minuti. La durata dell’allenamento e l’intensità della pratica possono essere autodeterminati. Chiunque può praticare karate indipendentemente dall’età, dal sesso e dalle condizioni fisiche. È anche un eccellente complemento all’educazione fisica ed è stato riconosciuto dal Monbusho, il Ministero dell’Educazione, come programma formale nelle scuole medie della prefettura di Okinawa.
È difficile spiegare cosa sia il karate senza darne una dimostrazione pratica, e anche in quel caso, tuttavia, non è facile trasmetterlo. Le reali caratteristiche del karate non si possono trovare neppure nel divertimento commercializzato o nelle competizioni. Il fatto che l’equipaggiamento protettivo e le gare agonistiche non possono essere formulate per il karate, è indicativo della vera essenza di quest’arte.
Nel marzo del 1921 il principe ereditario Higashinomiya-Denka (Hirohito, che divenne imperatore nel 1926), in transito verso l’Europa, visitò Okinawa, e seicentomila cittadini gli diedero il benvenuto. Furono sottoposte per la valutazione sei diverse dimostrazioni ai suoi attendenti, e quella di karate fu la sola ufficialmente approvata. Ebbi il privilegio e l’onore di essere nominato leader tra i dimostratori. Pensai che il motivo fosse legato al fatto che il principe ereditario, noto per essere uomo saggio, apprezzasse il bunburyodo (letteralmente: via della penna e della spada), ma poi umilmente e in privato gli chiesi perché scelse il karate.
Il karate fu sviluppato per condizionare il corpo, coltivare la mente e nutrire lo spirito. Da ciò nasce il ki-ryoku[48], che forma uomini capaci per sostenere il paese, e che fungeranno da katsujinken (uomo equiparabile ad una spada vivente, una guardia d’élite di prim’ordine) contro fuorilegge, ribelli o sconsiderati. Come un fiore, il karate delle Ryukyu è germogliato nella nostra terra, dando frutti che contribuiscono alla razza di Yamato (i Giapponesi) e, in ultima analisi, al mondo.
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NOTE:
[1] Letteralmente: scuola del tempio di Shaolin
[2] Funakoshi scrive il termine karate con gli ideogrammi moderni pur riferendosi al quanfa/kenpo.
[3] Forza interiore.
[4] Forza esterna.
[5] Nato nel 1867 e morto nel 1947, fu ammirato come uno dei più grandi autori di novelle del Giappone dell’epoca Meiji.
[6] Conosciuto anche come Kosokun.
[7] Riferimento alla pubblicazione del 1762 “Oshima Hikki” e testimonianze prestate da Shiohira Pechin come raccolte dal ricercatore confuciano Tobe Ryoen.
[8] In questo caso Funakoshi usa gli ideogrammi per quanfa.
[9] L’aspetto spiritual dell’allenamento, vale a dire forgiare lo spirit ) Spiritual aspect of training; i.e. forging the spirit (character perfection) through relentless physical and mental training, and moral study.
[10] Popolo di Okinawa inteso come razza, gli Uchinanchu.
[11] Prova di forza.
[12] Il tipo di sumo a cui si riferisce Funakoshi è una sorta di lotta usando i principi del tegumi, in seguito chiamata sumo di Okinawa, da non confondere con il sumo giapponese.
[13] In senso stretto corrisponde al periodo intercorso tra la Guerra di Onin del 1467 e l’ingresso di Oda Nobunaga a Kyoto nel 1568. In senso più ampio si può estendere fino all’instaurazione dello shogunato Tokugawa, nel 1603.
[14] Calcio saltato.
[15] Pari a 2,4 metri.
[16] Pari a 72 litri.
[17] Sandali tradizionali in legno.
[18] Okina è una forma onorifica okinawense usata per persone più anziane.
[19] Tipico ingresso di un tempio shintoista.
[20] Pipe di bambù.
[21] Pratica di taglio con la spada giapponese.
[22] letteralmente: testare il proprio coraggio / le proprie abilità.
[23] sfida
[24] circa novanta litri.
[25] stretto passaggio in legno sul bordo esterno delle case vecchio stile di Okinawa sul lato rivolto al giardino.
[26] I Giapponesi hanno equiparato la figura dell’anji/aji di Okinawa a quella del daimyo. Douglas Haring, Okinawan customs, yesterday & today, The Takanoya account, pag. 43
[27] Sanshikan Oyakata.
[28] Richiama il detto occidentale: “occuparsi di tutto ma non essere esperto in nulla”.
[29] Kanna è un cognome, mentre kata, in questo caso, significa spalle. Nikai significa “due piani”, come in una casa a due piani, mentre no è la particella grammaticale. Quindi il termine significa “Kanna con spalle a due piani”.
[30] Letteralmente: riempire, completare, soddisfare.
[31] Letteralmente: un po’.
[32] Letteralmente: attraversare, oltrepassare, dividere, superiore.
[33] Un costume tipico di quell’epoca imponeva agli insegnanti di arti marziali di far studiare i loro figli sotto la guida di qualcun altro (un allievo esperto o un collega).
[34] Letteralmente: brigante/criminale.
[35] “L’Incidente del piatto di ferro”
[36] una distanza compresa tra 19,5 e 23,4 chilometri
[37] Tratta da un poema cinese
[38] Il proverbio contrario dice: “Più maturo diventa il riso, più è basso” (più c’è riso sullo stelo, più profondamente esso s’inchina, significa che più grande diventa il guerriero, più egli appare calmo, austero e umile).
[39] Funakoshi sottolinea la trasformazione cui va incontro il proprio carattere attraverso il veicolo fisico della pratica.
[40] Un detto che significa: “Nel karate non si attacca mai per primi”.
[41] Caposcuola di undicesima generazione dello Yagyu Shinkage Ryu.
[42] Gima Shinken
[43] Aprile del 1922
[44] La zona di Tabata veniva chiamata anche villaggio degli scrittori e degli artisti, perché un tempo, durante l’epoca Meiji, gli scrittori e gli artisti vivevano in quest’area. A quei tempi Tabata era un borgo di campagna con campi intervallati da macchie d’alberi. Quando la Scuola di Belle Arti di Tokyo (oggi Università Nazionale di Belle Arti e Musica) fu aperta a Ueno nel 1889, un certo numero di giovani artisti si trasferì a Tabata. Kosugi Hoan fu il primo a trasferirsi qui nel 1900, seguito da Itaya Hazan nel 1903, poi da Yoshida Saburo (scultore), Katori Hotsuma (scultore di metalli) e Yamamoto Kanae (pittore in stile occidentale). Questi artisti formarono il club popolare di Tabata e trasformarono Tabata in un villaggio di artisti. Più tardi, nel 1928, il famoso scrittore Akutagawa Ryunosuke si trasferì a Tabata. Si unì a lui nel 1930 Murou Saisei. Quando i suoi scritti divennero famosi, attrassero altri aspiranti scrittori: Hagiwara Sakutaro, Hori Tatsuo, Kikuchi Hiroshi e Nakano Shigeharu. Negli anni tra le epoche Taisho e Showa si assistette alla formazione del villaggio di scrittori di Tabata. Il Tabata bunshimura shiryokan (museo storico degli scrittori e degli artisti di Tabata) fu costruito per celebrare le opere di questi scrittori e artisti. Le esibizioni comprendono le opere di Akutagawa Ryunosuke e di altri scrittori e artisti. Il museo organizza anche varie conferenze e mostre speciali.
[45] Non sono certo al 100% sulla pronuncia del suo nome.
[46] Il college del vecchio maestro.
[47] Uno dei tre gradi più alti nel sumo.
[48] Forza di volontà e vigore.