Periodo Yamato o Kofun
Alla fine dell’epoca Yayoi il Giappone è diviso in decine di piccoli stati indipendenti, ma durante il quarto secolo d.C. il clan uji Yamato dell’isola centrale di Honshū (nella zona attualmente occupata dalle città di Nara, Kyōto e Ōsaka) da origine alla dinastia omonima ed al primo embrione dello stato che unificherà il Giappone.
A causa della carenza di documentazione scritta non è semplice ripercorrere le tappe di questa unificazione. Il primo documento scritto riguardo a questi eventi che sia giunto in nostro possesso è il già citato Kojiki (Cronaca degli avvenimenti antichi), un’opera storico-mitologica del 712 d.C. e pertanto posteriore di circa tre secoli agli avvenimenti di cui ci accingiamo a trattare.
Il Kojiki riporta cronache di spedizioni militari del clan Yamato nei territori circostanti e anche di una donazione di terre da parte del clan uji Izumo, il cui regno era situato ad ovest, sulle coste del Mar del Giappone, non è chiaro se a suggello di un’alleanza o come tributo in seguito ad una conquista.
Si assiste in questo periodo alla nascita di modelli sociali più organizzati. È in questo periodo che vengono costituiti i «be» o corporazioni di artigiani ed artisti, le tecniche di lavorazione artigianale e agricola evolvono rapidamente.
Dal punto di vista archeologico i reperti più importanti di questa epoca sono i kofun, tombe in pietra ricoperte da un tumulo di terra riportata (collina artificiale) di forma rotonda, quadrata o a “buco di serratura” e di dimensioni decisamente imponenti.
I corredi funerari rilevati all’interno dei kofun hanno fornito agli studiosi importanti informazioni sul modo di vivere e sulla produzione artistica del tempo.
Da questo punto di vista rivestono particolare importanza gli haniwa, oggetti di terracotta che sono stati trovati a migliaia nelle immediate vicinanze dei kofun.
I più antichi sono semplici cilindri di terracotta, ma in epoca posteriore assumono la forma di piccole statue che ritraggono personaggi, animali, imbarcazioni, abitazioni, ecc…
Durante il periodo Yamato si sviluppano i contatti con la Corea attraverso i quali il Giappone importa aspetti culturali degli altri paesi asiatici vicini ed in particolare della Cina.
Periodo Asuka – l’introduzione del Buddhismo
Proprio attraverso i contatti con la Corea viene introdotto in Giappone il Buddismo e a tale avvenimento è legata la nascita del periodo Asuka, dal nome della vallata a nord dell’attuale città di Nara ove sorse il nuovo Palazzo Imperiale. Era infatti diffusa l’abitudine di abbandonare la residenza imperiale alla morte di ogni imperatore a seguito della credenza shintoista secondo la quale il luogo viene reso impuro dalla morte di chi lo abita.
La data di introduzione del Buddismo è controversa, in alcuni testi si parla del 538, in altri, tra cui il Nihon Shoki (Annuali del Giappone), si fa riferimento al 552.
L’occasione per il verificarsi dell’evento è l’invio di un’ambasceria da parte del re del regno coreano di Paekche all’imperatore Yamato per chiedere aiuto contro la minaccia di invasione da parte dei vicini regni di Shilla e Koguryo.
Tra i doni inviati dal sovrano coreano vi erano alcuni testi sacri buddisti, una statua del Buddha e una lettera che inneggiava alla nuova dottrina giunta dall’India.
Con l’introduzione del Buddismo in Giappone il potere imperiale viene rafforzato nei confronti delle famiglie che detenevano ereditariamente le cariche di dignitari di corte.
Tali cariche erano giustificate ideologicamente dallo shintoismo che riservava quelle più importanti (Omi) alle famiglie mitologicamente imparentate con la casa imperiale (ritenute discendenti in via collaterale dalla dea Amaterasu) e le cariche minori (Muraji) alle famiglie dicendenti da kami meno importanti.
Al buddismo si opposero quindi i clan Muraji mentre i clan Omi, soprattutto quello dei Soga, lo appoggiarono con la speranza di accrescere in tal modo la propria influenza sull’imperatore.
La lotta tra le due fazioni fu molto lunga e sanguinosa, dopo 50 anni di guerra i Soga sconfissero definitivamente i Mononobe, clan Muraji, nella battaglia del monte Shigi nel 587.
Soga no Umako, capoclan, fece uccidere l’imperatore regnante e fece salire al trono sua nipote Suiko, assumendo egli stesso la carica di primo ministro ed affidando la carica di reggente dell’Imperatrice al nipote di lei, il principe Umayado.
Quest’ultimo venne soprannominato Shōtoku Taishi cioè “Principe Santo e Virtuoso” per la sua fervente fede buddista.
Shōtoku Taishi diede impulso alla diffusione del Buddismo con la costruzione di numerosi templi, introdusse l’uso del calendario cinese, iniziò un processo di modernizzazione dello stato giapponese adottando il complesso sistema burocratico cinese basato su 12 gradi di funzionari, e promulgando una Costituzione in 17 articoli, di spirito confuciano, che regolava i compiti ed i doveri di tali funzionari ed i loro rapporti con il governo centrale.
Egli promosse inoltre l’intensificazione dei rapporti con la Cina inviando periodicamente ambascerie con fini commerciali, culturali e diplomatici.
La politica riformatrice di Shōtoku Taishi era appoggiata anche dal capo clan dei Soga, Umako; dopo la morte di quest’ultimo però i Soga rividero le loro posizioni cercando di imporre la propria influenza ai danni dell’autorità imperiale.
Lo strapotere dei Soga suscitò quindi la reazione della famiglia imperiale che, alleandosi con il clan dei Nakatomi, avverso ai Soga, operò un colpo di stato ponendo fine al potere dei Soga.
Ciò pose le basi dell’ascesa della famiglia Nakatomi il cui nome verrà cambiato in Fujiwara, dal nome del possedimento, nei pressi di Nara, concesso a Nakatomi dall’Imperatore Tenji nel 669.
Il nuovo periodo inaugurato dall’Imperatore Kōtoku fu battezzato Taika No Kaishin, grande cambiamento, e fu segnato da una serie di riforme, iniziate nel 646. Vennero aboliti gli uji (domini delle famiglie nobili) e sostituiti con i kuni (province amministrate da funzionari statali), le terre furono dichiarate di proprietà dell’imperatore e date in concessione per un tempo limitato alle famiglie di contadini in base al numero di componenti dei nuclei familiari e periodicamente ridistribuite.
In cambio i contadini dovevano corrispondere una tassa in natura sul raccolto, contribuire materialmente alla realizzazione di opere pubbliche e prestare servizio militare obbligatorio. Gli appartenenti alla vecchia nobiltà terriera, ora privati della terre, venivano intanto inseriti nel nuovo sistema come funzionari imperiali. A seguito di queste riforme l’imperatore si trovò a disporre di un notevole potere economico e militare.
Durante il periodo Asuka il Giappone intervenne militarmente in Corea per proteggere lo stato di Paekche contro l’aggressione del vicino regno di Shilla alleato con la Cina Tang. La spedizione si concluse però con una disfatta totale a seguito della quale, per molti secoli, il Giappone rinunciò ad ogni mira espansionistica verso il continente.
Come naturale conseguenza di questo conflitto si verificò un intenso flusso immigratorio di esuli coreani che favorirono l’introduzione in Giappone di elementi della cultura continentale.
Le riforme Taika furono definitivamente confermate dal codice Taihō Ritsu-Ryō, codice civile, amministrativo e penale che sanciva, tra l’altro, l’autorità dell’imperatore fissando le funzioni del Consiglio di Stato e dei Ministri.
In questo periodo si delinea chiaramente la separazione tra sovranità formale, attribuita all’imperatore, e potere politico effettivo, che veniva in realtà esercitato da primi ministri o reggenti e che in seguito sarà in mano agli Shōgun.
Il sistema amministrativo adottato, pur ricalcando in gran parte modelli cinesi attribuisce molta importanza al principio di ereditarietà; mentre in Cina il reclutamento dei funzionari avveniva tramite un concorso per esame, in Giappone le cariche pubbliche rimasero privilegio dei membri delle famiglie aristocratiche.
L’autorità stessa dell’imperatore era basata sulla sua discendenza dalla dea del sole, Amaterasu, ed era considerata quindi inalienabile; in Cina invece il “mandato celeste” era affidato alla dinastia imperiale ma poteva essere revocato se questa si dimostrava indegna del proprio compito nei riguardi della nazione.