Le origini
Il Karate è un’arte marziale a mani nude sviluppatasi nel corso dei secoli nell’isola di Okinawa nell’arcipelago delle Ryukyu ed originata dalla fusione tra metodi di combattimento nati nell’isola e tecniche di combattimento originarie della Cina, in particolare della regione del Fujian (Fukien), e del Sud Est asiatico.
Grazie alla particolare posizione geografica dell’arcipelago delle Ryukyu furono infatti molto frequenti i contatti con la Cina (di cui Okinawa fu per un periodo protettorato) e con l’antico Regno del Siam (attuale Thailandia).
Questo metodo di combattimento eclettico ed utilitaristico, basato su colpi di pugno e di mano diretti e circolari, calci, proiezioni ed immobilizzazioni, era inizialmente finalizzato all’autodifesa contro le aggressioni comuni, necessità particolarmente sentita in quanto i militari degli eserciti di occupazione, prima cinesi e poi giapponesi, proibirono agli isolani il possesso di qualsiasi arma.
Nacquero numerose interpretazioni del cosiddetto Okinawa-Te o To-De (termini utilizzati per individuare quello che oggi chiamiamo Karate-do) che presero il nome dei villaggi in cui si svilupparono: Shuri-Te, Naha-Te, Tomari-Te, ecc…
Quello che molti di noi conoscono oggi come Karate, prese forma solo all’alba del ventesimo secolo, sotto la guida di Itosu Ankō. Quest’ultimo, facendo uscire l’antica arte di Okinawa dalle porte chiuse della “segretezza”, riuscì a rendere di pubblico dominio un’interpretazione fortemente semplificata del Karate.
Usato come veicolo educativo nell’ambito del sistema scolastico, attraverso il quale promuovere la forma fisica e la conformità sociale, il karate soddisfò egregiamente la richiesta del Giappone xenofobo alla rurale Okinawa di produrre coscritti abili a supporto della sua macchina bellica nel corso di un periodo – quello dei primi anni del secolo scorso – caratterizzato da una radicale escalation militare.
Introdotto in Giappone – informalmente nel 1917 e formalmente nel 1922 – l’allenamento al Karate divenne popolare tra gli studenti universitari e i giovani salariati sia nella regione del Kansai che in quella del Kanto.
Riflettendo nella sua pratica molte delle caratteristiche culturali di Okinawa, quando il Karate guadagnò popolarità a livello universitario e all’interno di aziende private, le autorità del Dai Nippon Butokukai [DNBK] presero consapevolezza delle differenze “straniere” [leggi: inaccettabili] e fu così che con il passare del tempo il potere prevalente del Budo Giapponese e la sua cultura fortemente conformista esercitò una profonda influenza e impose profondi cambiamenti all’Arte di Okinawa perché la stessa potesse essere finalmente accettata – nel dicembre del 1933 – come arte del Budo Giapponese.
Con la focalizzazione sulle abilità di base [Kihon-waza], sull’esecuzione a solo di tecniche di combattimento in specifiche sequenze coreografate [Kata] e sullo sparring regolamentato, usando solo tecniche ad impatto percussivo con mani e piedi [Kumite], la tradizione moderna, fortemente semplificata e sportivizzata del Karate [Karate moderno o tradizionale o “Karate delle tre K”] con le sue diverse interpretazioni (stili) è cambiata davvero poco dalla forma che aveva nel periodo precedente la seconda guerra mondiale.
Nonostante la propaganda descriva lignaggi antichi, pedigree da samurai e/o proprietà esclusive, il Karate divenne parte della cultura del Budo Giapponese solo nel dicembre del 1933.
Il termine Karate-dō è scritto ricorrendo a tre kanji (ideogrammi), il primo, Kara, significa vuoto, il secondo Te significa mano ed il terzo dō significa Via.
Il kanji kara può essere interpretato in due modi. La prima e più conosciuta definizione (anche se è la meno sottile) ricorda che, attraverso la pratica del Karate vengono studiate tecniche di autodifesa senza uso di armi che non siano mani, piedi ed altre parti del corpo umano.
La seconda definizione rispecchia la filosofia delle arti marziali e della spiritualità orientale bene espressa dalle parole del M° Gichin Funakoshi: «Come la superficie lucida di uno specchio riflette tutto ciò che le sta davanti ed una valle silenziosa riporta ogni più piccolo suono, così il praticante di Karate deve rendere il proprio spirito vuoto da ogni egoismo e malvagità in uno sforzo per reagire convenientemente dinnanzi a tutto ciò che può incontrare. Questo è il significato del termine Kara, o vuoto, in Karate».
Oltre la tecnica
Il Karate, oltre ad essere un metodo di autodifesa estrememente efficace, è una disciplina completa per lo sviluppo fisico e spirituale dell’individuo.
L’acquisizione di serenità e autocontrollo e, a livello fisico, di un corpo sano, sciolto e potente sono solo alcune delle caratteristiche di quest’affascinante arte marziale la cui pratica è fondata su principi etici e morali di indubbio valore formativo.
Il Karate è una disciplina che possono praticare tutti: uomini, donne e bambini adattando l’allenamento alle caratteristiche dei singoli praticanti. Le soli doti necessarie sono la buona volontà ed il desiderio di migliorare la conoscenza di se stessi.
Il fine ultimo del Karate è vincere senza combattere.
Seikichi Toguchi, un famoso Maestro di Karate Dō, scrisse: «L’essenza del Karate è la capacità di sorridere in ogni occasione. Anche nei momenti più difficili. Se non riesci a sorridere non puoi combattere, saresti rigido e potresti facilmente venire sconfitto … ma se riesci a sorridere che bisogno hai di combattere ?».